I limoni: il manifesto poetico di Montale | Libri Aperti

Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantanoi ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.

Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il susurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.

Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno piú languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che si allontana
qualche disturbata Divinità.

Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rurnorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo dei cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.

Il primo brano di antologia di Libri Aperti è una di quelle poesie che hanno la forza di essere dei veri e propri manifesti di chi le scrive e di presentare il senso e il valore stesso della poetica di un certo autore; questo è quanto accade con I limoni, scritta da Eugenio Montale e pubblicata nella raccolta Ossi di seppia nel 1925. I limoni ha anche un’altra grande forza, è una poesia di rottura, che segna la fine di un modo di concepire il testo poetico e ne introduce uno nuovo, che da quello precedente deve distaccarsi.

Scritta in versi liberi, la poesia-manifesto di Montale, segna subito la lontananza con la poesia di D’Annunzio, con quei “poeti laureati” accusati di un linguaggio troppo artificioso e lontano da quella quotidianità semplice che vuole essere la cifra propria di tutta la poetica di Montale. Il richiamo a questa semplicità passa attraverso le “pozzanghere”, le “viuzze”, gli “orti”, gli “alberi dei limoni”; i limoni appunto, portatori di un giallo vivo ma allo stesso tempo anche frutti aspri.

La poesia non riesce comunque ad essere un completo e totale inno luminoso alla vita, c’è anche spazio per il ‘male di vivere’, per un forte senso di smarrimento, di solitudine, di disarmonia che invade Montale, e che lo tiene lontano da quel “filo da disbrogliare che finalmente ci metta nel mezzo di una verità”, che resta comunque solo una semplice illusione.

Nel segno di questa illusione, l’attenzione viene portata alle “città rumorose dove  l’azzurro si mostra soltanto a pezzi”, alla “pioggia che stanca la terra”, al “tedio dell’inverno sulle case”, lasciando “amara l’anima”.  Ma c’è comunque ancora lo spazio per una pennellata di giallo, quello dei limoni, che sbuca da un portone lasciato socchiuso e scioglie il gelo, ridando slancio e vitalità.

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